C’è una favola che gira in questi ultimi giorni in terra lucana, la favola di un ragazzo di soli 23 anni, capelli tagliati a zero e barba lunga (anche quella poi rasa, in barba alla scaramanzia), la favola di un giovane talentuoso calciatore made in Basilicata, che cresceva in un piccolo borgo vicino al mare, e mostrava già in tenera età le sue indiscusse doti e il suo innato talento, la favola di un bambino che grazie ai sacrifici dei genitori ed alla costante educazione calcistica dell’ambiente in cui è cresciuto, è pian piano esploso, affermando le sue indubbie qualità, una favola che appassiona tutti, specie dopo le sue ultime imprese, che lo hanno visto nel giro di poco più d’una settimana, sugli allori per il gol alla prima di campionato col Sassuolo, la prima convocazione in nazionale, il convincente esordio con la maglia azzurra a Bari contro l’Olanda, ed il gol in Norvegia nella vincente partita di qualificazione europea.
E il racconto di una fiaba non può non partire dal classico “c’era una volta”, e per questo prologo, non potevamo che interpellare coloro che calcisticamente, hanno avuto la fortuna di veder nascere, crescere e che poi hanno guidato ed indirizzato, il piccolo fenomeno lucano nei suoi percorsi iniziali, ovvero l’allenatore Vittorio Plati, che lo ha preparato durante i suoi primi fondamentali sette anni di scuola calcio lucana, tra le fila della Stella Azzurra Bernalda (che da qualche anno ha chiuso i battenti), ed il vice di panchina, coordinatore tecnico della ex società, l’inseparabile Carlo Benedetto (uniti insieme da oltre trent’anni nel loro “gemellaggio” calcistico e che oggi sono tesserati nell’Asd Padri Trinitari Bernalda) .
Brillano gli occhi ad entrambi, sia a Plati che a Benedetto, quando rammentano le prime gesta del piccolo campione di Metaponto, quando per quegli allenamenti infrasettimanali, passavano con le auto a prendere direttamente a casa, i loro talenti di classe 1991, nel piccolo borgo jonico, per poi portarli in palestra a Bernalda, per quei primi fondamentali calcistici, che sono sempre alla base del corretto insegnamento dell’Abc del pallone. Una classe d’oro quella del 1991 (con ben otto mancini), che già in quel lontano 1997, vedeva comunque il piccolo Simone emergere, nonostante la fattura dei suoi compagni di scuola calcio, fosse d’ottimo livello, come poi qualche anno dopo, si riuscì a riscontrare anche sui campi di calcio ad 11.
Un talento innato quello di Simone Zaza, come ribadisce il suo tecnico d’allora, frutto sia d’una indubbia qualità e tradizione di famiglia, visto che sia il papà Antonio, fu a suo tempo un ottimo centravanti (dalle minori fortune all’epoca), e visti i buoni trascorsi anche dello zio Fabrizio (dotato centrocampista), un talento favorito oltre tutto anche dal suo fisico sempre rilevante, e soprattutto dalla voglia di giocare e dalla determinazione d’imporsi, che caratterizzava già il piccolo, anche in quei primi calci del 1997.
Una famiglia sempre vicina al piccolo promettente calciatorino di Metaponto, con il padre a credere continuamente e smisuratamente in lui, ed a ricoprirlo di attenzioni, come ad esempio quelle di stringergli le stringhe delle scarpette, prima d’ogni partita di rilievo, che lo vedeva in campo già in tenera età, o come la mamma Caterina, pronta in tempi più recenti, a trasferirsi per anni, dal suo paese alla lontana Bergamo, a seguire ed accudire il figlio, quando a quattordici anni, ebbe l’opportunità di approdare e di frequentare il settore giovanile dell’Atalanta.
Sacrifici fisici, e anche di natura economica, come quelli che papà Antonio (che adesso gestisce una serie di strutture turistiche vicino al lido di Metaponto), dovette sostenere, quando portò il figlio tredicenne a sostenere i provini in Toscana, che lo fecero approdare, come prima tappa, nel settore giovanile del Valdera Pontedera, per altri lunghi anni, di gavetta e di formazione calcistica, che lo videro in breve tempo passare dal primo provino di Empoli, alla militanza a Pontedera, fino ad accasarsi per molti anni appunto, nelle giovanili della società bergamasca.
Ma ritornando agli anni tutti lucani del piccolo Simone, non si può non rammentare il ricordo delle prime performance, con la tenuta biancoazzurra della Stella Azzurra, con cui Vittorio Plati, lo schierava in campo, nel suo tipico 4-4-2 (poi tramutatosi in 4-1-3-2), sfruttando appieno, anche in giovane età, le caratteristiche tipiche del ragazzo, ovvero la sua propensione allo scatto in velocità, con quella devastante tenuta atletica, che unita alle capacità tecniche ed al controllo e alla difesa del pallone, hanno poi sempre contraddistinto il gioco del campione metapontino.
Anni in cui il piccolo Zaza, si metteva in evidenza anche in schieramenti delle squadre di maggiore età, con Simone che dava manforte a formazioni di classi superiori alla sua, mostrando già d’allora di essere un predestinato del calcio. Così, con i colori della Stella Azzurra, portò da fuori età, i Giovanissimi Provinciali di classe ’88-’89, a vincere il campionato dell’anno 2002, giocando da Esordiente, la metà delle partite nella categoria superiore (il regolamento prevedeva massimo il 50% dell’utilizzo a giocatori sotto età). E, come ricordano Plati e Benedetto, all’epoca ogni punizione che veniva battuta sul versante destro, mostrava già, le indubbie doti del suo terribile piede mancino.
Altro fervido ricordo che balza in mente ai due, è un aneddoto della storia di Simone Zaza, che contribuisce a comprendere alcune sfumature del suo carattere, e che si riferisce ad un’epoca un pò più recente, ovvero all’epoca in cui era già militante negli Allievi Nazionali dell’Atalanta: da milanista, di familiare fede calcistica infatti, egli dovette affrontare nel campionato di categoria i pari età del Milan, e quel giorno vinse, segnando ben due reti alla squadra del cuore. A fine partita, affranto dall’accaduto, fu il padre a doverlo consolare, ed a riportarlo alla giusta dimensione dei suoi doveri di appartenenza.
Un ragazzo che ancora oggi, nonostante la crescente fama ed ai primi grandi successi, ha mantenuto saldo il legame con la sua terra, coltivando anche quelle amicizie che hanno sempre contraddistinto il suo vissuto, in quel condensato di valori, trasmessogli sia dalla famiglia, che anche dalla scuola, e dal suo primario ambiente calcistico, di cui i suoi allenatori, sono oggi la più vivida testimonianza diretta. E’ come se quell’entusiasmo, sprigionato dalle parole di Vittorio Plati, sia una delle formule magiche della formazione calcistica di Simone Zaza, una sintesi perfetta, se unita alla commozione che spesso interrompe i racconti di Carlo Benedetto, e che dimostra indirettamente anche i forti legami emotivi, trasmessi nel messaggio dei suoi antichi tecnici, all’uomo Zaza, di cui le gesta recenti, hanno riempito le cronache d’ogni testata locale e nazionale.
Una favola che si sta dispiegando tuttora, e la cui incessante narrazione, ha un pò condizionato l’ambiente calcistico attuale del fenomeno lucano. Ieri difatti, son tornate improvvise le streghe d’un fatale 7-0, che già ha caratterizzato l’esordio con la maglia del Sassuolo, nella prima emiliana in serie A della scorsa stagione, e sempre contro l’Inter. Una nuova frastornata domenica calcistica, frutto forse dell’emozione nell’esser proiettati in questo modo, e per oltre dieci giorni, al centro d’ogni prima pagina della stampa nazionale. Ma nulla togliere alla favola, come è successo nella scorsa stagione, c’è adesso tutto il tempo, per uscire un pò dal bagliore dei riflettori, concentrarsi (con i compagni) nel giusto prosieguo del campionato, e scrivere tanti altri esaltanti capitoli, di una favola comunque trasformatasi in splendida realtà.
Marcello Milazzo